Valorizzare il patrimonio vitivinicolo e culinario delle aree rurali come chiave per la ripresa economica del Belpaese. Le ambizioni del turismo enogastronomico sono forti ma, secondo gli studi di settore, non irrealizzabili, parola di Roberta Garibaldi, ricercatrice e docente in materia presso l’Università degli Studi di Padova. Nel suo Primo Rapporto sul turismo enogastronomico italiano 2018 – edito con il patrocinio del Touring Club Italiano, Federculture e Qualivita – l’ambasciatrice italiana della World Food Travel Association traccia un quadro attuale del comparto enogastronomico tricolore, dedicato alle imprese del settore ma anche ai curiosi con la passione per l’alimentazione slow.
Secondo quanto emerso dalla ricerca l’Italia è il Paese che, con i suoi 820 prodotti, vanta il maggior numero di produzioni agroalimentari e vinicole a Indicazione Geografica (DOP, IGP e STG) di tutta l’Europa. Tra queste, 294 fanno parte del settore food mentre le restanti 526 appartengono al giro d’affari del wine. Sono numeri importanti, i quali lasciano trasparire le enormi e impattanti potenzialità che un turismo enogastronomico di alta qualità potrebbe avere sulle economie locali.
Turismo enogastronomico, un viaggiatore più che consapevole.
Nell’immaginario popolare, il tipico turista enogastronomico è solitamente un uomo dalla buona forchetta, un “sempliciotto” più interessato immergersi nel vino rosso nella raffinatezza delle tradizioni autoctone. Ma non è affatto così. I turisti enogastronomici odierni sono fortemente attenti e motivati. Su un campione di più di 1000 persone, il 63% ha dichiarato di trovare importanti o importantissime le esperienze correlate al mondo enogastronomico. Tra conferenze, visite guidate e degustazioni tematiche, il moderno turista del food&wine si dimostra affamato non solo di cibo, ma anche di cultura e conoscenza. Qui la capacità di storytelling delle aziende svolge un ruolo fondamentale: diventa indispensabile saper raccontare il proprio business per trasmettere le tradizioni autoctone. «I ristoratori potrebbero (e dovrebbero) usare i menù non solo per elencare i propri piatti, ma per raccontare al cliente la storie ad essi collegate; i gestori delle strutture ricettive potrebbero implementare la propria offerta attraverso proposte ed attività enogastronomiche» Suggerisce Erik Wolf, Direttore esecutivo World Food Travel Association Americana.
Non più la classica offerta turistica.
L’importanza del turismo enogastronomico è facilmente comprensibile se pensiamo che il nostro cibo è il più amato nel mondo. A stabilirlo con obiettività è uno studio promosso dal Polli Cooking Lab, che in occasione del Cibus 2016 ha valutato i pareri di oltre 90 esperti tra antropologi dell’alimentazione, chef e nutrizionisti. Una ragione in più per investire nel patrimonio enogastronomico, nonché in figure specifiche in grado di raccontarlo. Il turista enogastronomico difficilmente scende a patti con il low-cost, accontentandosi di aziende agricole e vitivinicole dall’offerta scadente. Non vuole nutrirsi, ma mangiare, preferendo pietanze a Chilometro Zero e lasciandosi tentare da rossi o bianchi altrettanto locali. Insomma, il miglior modo per rivitalizzare l’offerta turistica italiana è quello di prendere il viaggiatore “per la gola”.