Dalla scelta del colore delle camerette, non più solo azzurre o rosa, all’abbigliamento, non più necessariamente maschile o femminile, la filosofia gender-free inneggia alla libertà di esprimere il proprio Io senza lasciarsi condizionare dai caratteri sessuali primari o secondari di nascita.
Gender-free, i caratteri sessuali non si allacciano all’interiorità.
Che si tratti di genitali, di barba o seno, l’ideologia gender-free non considera questi elementi necessariamente identificanti della psicologia dell’individuo. “Si identifica un genere non binario – chiarisce la LGBT Foundation nella sua pagina web ufficiale – quando si va oltre le categorie “uomo” e “donna”, ci si sposta all’interno di esse oppure non si ha un vero e proprio genere, per un certo periodo di tempo o in maniera permanente”. Il gender-free ritiene la scelta esclusiva tra l’essere “maschio o femmina” un mero costrutto della società, un insieme di regole ad uso e consumo di un sistema di valori oramai obsoleto, morente, soffocato da quella che Zygmunt Bauman avrebbe definito una “Modernità liquida”. Una modernità in cui il corpo non rappresenta necessariamente l’Io, e l’Io stesso non è costretto ad identificarsi con il corpo.
Il primo caso mediatico a Hollywood, avanguardia delle nuove correnti
Che Hollywood sia la terra madre delle tendenze più bizzarre è ben noto, tuttavia, tra Oscar e Golden Globe, spicca anche qualche battaglia ideologica di un certo spessore. È il caso di Shiloh Pitt, erede dell’impero Bradangelina, che ancora prima di nascere veniva già indicata dalla stampa internazionale come l’incarnazione della perfezione fisica. Del resto, con un patrimonio genetico come quello di Brad Pitt e Angelina Jolie, non avrebbe potuto essere altrimenti. E se tutti la dipingevano come un angelo dai lunghi capelli biondi, quando non era ancora che un puntino in un’ecografia, Shiloh ha stupito tutti facendosi apripista di quel fenomeno gender-free che da lì a poco sarebbe stato sulla bocca di tutti.
Oltre a farsi chiamare John, secondo mamma Jolie la sua – o il suo – John-Shiloh “si veste come le persone del posto, le piacciono le tute, le piacciono i completi, le piace vestirsi da ragazzo, vuole essere un ragazzo, quindi abbiamo dovuto tagliarle i capelli, le piace indossare tutto ciò che è da bambino, pensa di essere come i suoi fratelli maschi”. Lo ha raccontato l’attrice nel 2010 a Vanity Fair, ribadendo il concetto anche all’Indipendent, che si riferisce a John-Shiloh utilizzando il pronome personale neutro “it”. Quella gender-free, insomma, è una questione anche linguistica, molto più complessa e articolata della semplice scelta del colore delle pareti.
Spazi gender-free. Utopia o realtà?
Addio alla scelta tra azzurro e rosa, tra mini-camion e baby-forni, tra tuta da ginnastica e scarpette di vernice. Gli spazi gender-free hanno colori neutri, come il verde o il giallo insieme giocattoli che non rispecchiano la sessualità di chi li usa – la Toys R, colosso online nel settore dei giocattoli per bambini, si era già attrezzato nel 2015 con balocchi neutrali, al grido di “Let Toys be Toys”. E la moda si adegua, proponendo capi che potrebbero essere stati rubati dall’armadio di Lui o di Lei. I bagni degli spazi pubblici, in particolare, potrebbero eliminare le ben note forme stilizzate con e senza gonna, lasciando spazio ad una più generica figura antropomorfa.